Un MC ai vertici del mondo ma ancora con il dente avvelenato.
13
Fino a pochi anni prima, JAY-Z non riusciva a trovare un’etichetta. Ora, invece, non solo era diventato una forza trainante della cultura hip-hop, ma stava anche contribuendo a legittimarla agli occhi di una fetta di pubblico che probabilmente continuava a ritenerlo un semplice fuoco di paglia. Pubblicato l’11 settembre del 2001, The Blueprint si presentò sulla scena con le credenziali di un evergreen, un condensato di barre brutali (‘Takeover’), arroganti (‘Girls, Girls, Girls’), scherzose (‘Izzo [H.O.V.A.]’) e straordinariamente vulnerabili (‘Song Cry’). Fatta eccezione per LL COOL J, il panorama rap era privo di figure capaci di reinventarsi in modo analogo.
Facendo leva su un assortimento di campionamenti classic rock e soul in parte modellati da un giovane producer di nome Kanye West, The Blueprint riuscì nell’impresa di ampliare i parametri lessicali dell’hip-hop mainstream e riportarlo contemporaneamente alle origini, imponendosi come un album in grado di dare continuità storica al genere.
“È molto istruttivo per la gioventù che ama darsi da fare… non puoi odiare una persona che ti mostra un piano e ha le prove”.
“Reasonable Doubt, classic/Shoulda went triple” [“Reasonable Doubt, un classico/Avrebbe dovuto conquistare tre dischi di platino”], rappa JAY-Z sul beat di ‘Blueprint (Momma Loves Me)’: un richiamo al suo primo album ma anche un modo per ricordare che non l’ha mai rinnegato. È possibile raggiungere l’apice e avere ancora fame? Ai tempi di The Blueprint, Jigga aveva tutto ciò che si potesse desiderare, ma voleva di più.