Apple Music: i 100 migliori album

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Purple Rain

Prince & The Revolution

4

Un capolavoro da grande schermo che trae forza dalla coerenza degli opposti.

Non si può raccontare la storia di un artista tormentato, le cui difficoltà personali nascondono il genio musicale, senza un autentico genio musicale. In questo senso, la colonna sonora di Purple Rain prese vita col massimo grado di difficoltà immaginabile: l’impossibilità dell’insuccesso è la più grande eredità del progetto.

“Ha vinto un Oscar per Purple Rain. Non c’è una maniera più politica di fare il proprio lavoro, perché lui ha fatto sempre tutto a modo suo”.

Pharrell Williams

Con mezza scaletta composta da singoli da Top 10, la colonna sonora è ciò che ha davvero consentito a Prince Rogers Nelson di passare dall’essere un musicista abbastanza famoso da interpretare il protagonista di un colossal estivo basato sulla propria vita a diventare una delle popstar più riconoscibili e peculiari di sempre. Senza nulla togliere al film, che pure ha il suo fascino (menzione d’onore per Morris Day), il disco è una testimonianza della travolgente potenza stellare e del fluido virtuosismo di Prince, capace di inanellare nove canzoni inarrivabili in una dimensione ibrida di pop-soul-dance-rock-R&B-funk-e qualsiasi altro genere che non potevano che ingoiare tutto ciò che gravitava nella loro orbita.

La genialità di Purple Rain sta nel modo in cui l’album riesce a far confluire umori apparentemente contrastanti come desiderio, devozione, intimità e alienazione in una miscela di elementi che non possono essere separati gli uni dagli altri. Prince rende erotico il trauma (‘When Doves Cry’) e spericolata la salvezza (‘Let’s Go Crazy’). Se le avventure sessuali sono mistiche, disorientanti e quasi psichedeliche (‘Darling Nikki’, ‘Computer Blue’), i voli spirituali sono ancorati ai meccanismi di un assolo di chitarra (‘Purple Rain’). L’album infranse record e fece saltare i cardini della mentalità corrente: scandalizzata dall’immagine di Darling Nikki che si masturba, Tipper Gore lanciò un’autentica caccia alle streghe sulla moralità della musica pop che approdò perfino al Congresso. Anche se spesso veniva accostato a Jimi Hendrix per il modo di fondere sonorità considerate Black e bianche, sacre e profane, la verità è che non esisteva e non esiste una figura paragonabile a quella dell’artista di Minneapolis.