Un capolavoro che ha condotto il thrash metal nel firmamento mainstream.
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Nel 1984, Ride the Lightning aveva catapultato i Metallica in territori al confine tra la purezza dell’underground e la consacrazione mainstream, mentre il suono tagliente e brutale del thrash metal iniziava a farsi strada ai piani alti del panorama musicale. Pur aumentando ulteriormente il tasso di intensità dal punto di vista della velocità, dell’aggressività e dell’ostilità nei confronti delle forme di controllo, il successivo Master of Puppets riuscì a riscuotere consensi ancora più ampi e trasversali, proiettando definitivamente la band sotto i riflettori globali.
Per quanto curato, l’album appariva ancora come un prodotto confezionato in un garage o in un seminterrato. Se i brani di gruppi come Van Halen e Mötley Crüe si proponevano di parlare di ragazze e di droghe distinguendosi per l’assoluta mancanza di inibizioni, i Metallica immortalavano l’irrequietezza di chi è in preda a una spirale di pensieri negativi, abbracciando uno spettro tematico che spazia dalla guerra (‘Disposable Heroes’) alla dipendenza (‘Master of Puppets’), fino all’evangelizzazione religiosa (‘Leper Messiah’) e alla carenza di attenzione verso la salute mentale (‘Welcome Home [Sanitarium]’).
Era la prima volta che un linguaggio sonoro così estremo riusciva a conquistare i favori di un pubblico tanto vasto, che negli anni a venire non avrebbe fatto altro che crescere. Nel giro di mezzo decennio, la formazione californiana si sarebbe imposta come una delle band più importanti del mondo, facendo emergere dall’ombra sentimenti quali la rabbia e l’alienazione per trasportarli di fronte alla platea di uno stadio gremito.